Giacomo Parravicino 5 gennaio 1660
Bartolomeo Peterbelli, detto il Contraglio perché residente in Ca’ de con Contagli in Valle Imagna, si era era rifugiato a Crema, colpito da un bando per omicidio nel bergamasco.
A Crema si diede al commercio delle stoffe. Frequentando la famiglia degli Uberti, commercianti anch’essi, sposò Caterina degli Uberti, orfana di papà e mamma. Il matrimonio, come si usava allora, venne orchestrato dal fratello maggiore con l’impegno di pagare allo sposo la dote di Caterina in due anni.
Dopo un anno di matrimonio, Bartolomeo pretese il saldo della dote. La famiglia degli Uberti si rifiutò. E Bartolomeo pensò di vendicarsi contro Caterina. Le disse che sua mamma in montagna era malata e desiderava conoscere la nuora. Caterina si oppose, ma poi si rassegnò.
Bartolomeo fece uscire Caterina dalla città verso sera, con la scusa di pernottare fuori le mura e mettersi in viaggio di primo mattino. Caterina raccolse tutti i gioielli in un fagotto e uscì dalla città. Bartolomeo la seguiva a distanza sul suo cavallo.
Calo la sera e si chiusero le porte della città. Bartolomeo raggiunse Caterina e la obbligò a salire sul suo cavallo. Si diresse verso Bergamo e si ha dentro in una boscaglia detto il “Novelletto” era il 3 aprile 1490. Piovigginava.
Nel cupo silenzio della boscaglia Bartolomeo strappo da cavallo la moglie e carico la sua rabbia, colpendo brutalmente Caterina con 14 ferite di spada. Caterina si difese con la mano, che le venne troncata. Accecato dall’odio, il marito spezzò anche la spada, fracassando in più parti il corpo indifeso della donna, stramazzare in una pozza di sangue.
Finito lo scempio, Bartolomeo strappò gli ultimi gioielli dal corpo di Caterina e, raccolto il fardello, balzò a cavallo dileguandosi nella notte. Di lui non si seppe più niente. Il tribunale di Crema lo condannò in contumacia come assassino.
Caterina agonizzante invocò la Madonna, della quale era devotissima, chiedendo la grazia di ricevere i santi sacramenti prima di morire.
La Madonna le apparve subito e la aiutò a sollevarsi mentre le emorragie delle ferite si bloccano immediatamente” Ma voi chi siete domandò Caterina”. E la Vergine: Io sono colei che tu hai invocato. Non avere paura e seguimi.
La vergine accompagnò Caterina al vicino casolare abitato dai Samanni e dai Mongia, e poi scomparve. La giovane sposa venne accolta in quel casolare, dove passò la notte fra le cure e la venerazione dei Samanni e dei Mongia che erano gente povera. Si dovette attendere l’indomani per portarla in città, perché Crema era allora l’avamposto fortificato della Repubblica veneta nel cuore dei domini di Milano e non riapriva le porte che al chiarore del giorno.
L’indomani domenica delle palme Francesco Mongi avverti i parenti di Caterina. Messer Filippo Tensini, suocero di una sorella di Caterina, la fece trasportare in lettiga nella sua casa situata nella odierna piazza Garibaldi. Accorsero i medici, che non sapevano spiegare nè la sopravvivenza di una persona tanto massacrata nè il blocco dell’emorragie. Accorsero il magistrato con il cancelliere per l’interrogatorio il verbale.
Finalmente venne introdotto il sacerdote di San Benedetto, che le conferì i santi sacramenti della riconciliazione, dell’eucaristia e della unzione degli infermi. Ricevuti i santi sacramenti, Caterina perdonò il marito. E morì serenamente per la ripresa improvvisa dell’emorragia. Il pianto della sorella diede l’annuncio triste alla moltitudine riunita davanti alla casa dei Tensini. Nel medesimo giorno 4 aprile 1490 si svolsero i solenni funerali. La salma di Caterina fu sepolta nella tomba di famiglia dei Tensini nella chiesa di San Benedetto.